Weekend del 22 luglio: che cosa ci riserva la sempre più stanca e accaldata stagione cinematografica estiva?
Si parte, letteralmente, ma per le profondità degli spazi ipergalattici, con Star Trek Beyond di Justin Lin (autore di Fast and Furious) tredicesimo episodio del famosissimo ciclo di fantascienza che vede la nave Enterprise e il suo capitano Kirk (Chris Pine) ogni volta alle prese con un vagabondaggio cosmico denso, prevedibilmente, di pericoli, colpi di scena e avventure.
Qui l’antefatto nasce da un luogo ben preciso, la stazione spaziale Yorktown, nuova di zecca e predisposta per accogliere il numero di abitanti di una metropoli.
L’S.O.S. che arriva da una vicina nebulosa convince l’equipaggio dell’Enterprise ad effettuare una ricognizione, ma l’accoglienza non è delle migliori: la nave subisce l’attacco di un gruppo di alieni e viene distrutta, mentre i superstiti sono costretti a rifugiarsi su un pianeta dominato da un tiranno, Krall, che coltiva la pessima abitudine di catturare le flotte spaziali, e che nasconde un minaccioso progetto.
Attratto dalle veloci e roboanti scene d’azione, Lin costruisce un film dalla buona struttura spettacolare, concepito per catturare lo sguardo dello spettatore e restituire rinnovato smalto a una serie entrata a buon diritto nella mitologia del cinema fantastico, ma prevedibilmente in crisi di identità e a corto di ganci narrativi.
Star Trek Beyond ci permette di ritrovare i protagonisti più amati della saga, è godibile sino all’ultima scena, non memorabile: i fasti dell’Enterprise appartengono ad anni lontani, eppure, nella sua medietà, questa è una pellicola che merita una visione.
Top Cat e i gatti conbinaguai di Andres Couturier è la poco riuscita trasposizione cinematografica della storia con protagonista l’astuto gatto randagio del titolo, ideata da Hannah e Barbera e approdata negli anni Sessanta sul piccolo schermo in una serie a cartoni animati.
Top Cat è il capo di una improvvisata banda di gatti di strada (Benny the Ball, Choo-Choo, Spook, Fancy-Fancy e Brain) che ogni giorno percorrono i vicoli di Manhattan lottando per la sopravvivenza, sempre inseguiti dal classico ed integerrimo esponente della giustizia, l’agente Dibble.
Le loro avventure, declinate in chiave comica, sono in realtà la rappresentazione di una realtà sociale molto dura, quella delle classi povere americane e della loro vita di espedienti e sacrifici.
Purtroppo il film di Couturier, girato con l’ausilio della computer grafica, non è all’altezza, dal punto di vista stilistico e dei contenuti, dell’ambiziosa operazione che si prefigge: le immagini peccano in qualità e definizione, lo script è povero e soffre di asfissia, la resa complessiva limitata.
Si tratta di un’occasione perduta, perché la vicenda tragicomica in stile guardie e ladri, che alla lontana occhieggia ai film americani sulla malavita degli anni Trenta (vedi la figura del coccodrillo Mr. Big), avrebbe rappresentato un ottimo spunto spettacolare, di sicura presa al botteghino.
Mr. Cobbler e la bottega magica è il film che Thomas McCarthy ha girato prima di trionfare alla notte degli Oscar 2016 con Il caso Spotlight.
Appartenente a tutt’altro genere e dimensione narrativa, la pellicola affida al volto e al corpo appesantito di Adam Sandler la storia di Max Simkin, calzolaio insoddisfatto che porta avanti senza troppi entusiasmi l’attività di famiglia nel Lower East Side di New York.
Il ritrovamento di una vecchia macchina da cucire, dotata di poteri magici, permetterà a Max di sperimentare le diverse identità dei suoi clienti solo indossando le loro scarpe, nella spasmodica ricerca della propria.
Mr. Cobbler e la bottega magica è una commedia agrodolce, percorsa dal realismo magico di certa narrativa, anche cinematografica, e venata di un senso dell’umorismo che appartiene alla migliore tradizione ebraica.
L’uomo senza qualità di Sandler, il cui viso non molto caratterizzato assolve al meglio al compito di esprimere lo smarrimento esistenziale del suo personaggio, si pone all’ascolto delle mille scelte di vita che gli si offrono, indossa più maschere, fino a gettarle tutte per far emergere il suo vero volto di essere umano.
Il cast di attori che ruotano intorno al protagonista, da Steve Buscemi a Ellen Barkin e Dustin Hoffman, contribuiscono con la loro presenza ad innalzare il livello del film, che in certi momenti e situazioni sembra cadere di tono e girare a vuoto.
Ma, in definitiva, al di là dei difetti è la fiaba morale a sedurre noi spettatori: l’idea antica (già presente nelle storie raccolte e analizzate dal linguista russo Vladimir Propp) che, con l’aiuto di un oggetto magico risolutore, la vita si possa trasformare, attribuendo un senso al nostro essere nel mondo.
Barbara Rossi