Settimana scorsa sono comparse sulla stampa locale notizie di un incontro presso il Ministero dell’Ambiente, promosso dalla deputata ligure Ilaria Cavo, che ha visto il sindaco di Cengio (SV) Francesco Dotta, insieme ad imprenditori locali intenzionati ad investire sul sito ex-Acna, sollecitare davanti al ministro Gilberto Pichetto Fratin un “progetto di rilancio, non meglio qualificato, sulle aree che ospitarono la fabbrica chimica, particolarmente compromesse nel sottosuolo da una quantità tale di rifiuti tossico-nocivi che richiede di essere monitorata e gestita nel tempo e non permette riutilizzi di tipo industriale.
Quella che segue, pertanto, è una nota informativa, doverosa da parte della scrivente Associazione per la Rinascita della Valle Bormida, che da molti anni studia la vicenda e dispone di numerosi dati tecnici specifici, per spiegare perché non è possibile nessuna reindustrializzazione di questo luogo, come viene solitamente intesa. Con qualche riflessione propositiva.
Finire la bonifica, che è ancora incompleta
Allo stato attuale, le aree ex-Acna non si possono definire bonificate. L’area A1 (così chiamata come area ex-Acna) è diventata – di fatto – una discarica di rifiuti tossico-nocivi, a tutti gli effetti riconosciuta come tale dallo stesso Ministero dell’Ambiente.
Sull’area A2 (anch’essa area ex-Acna), che è parzialmente bonificata, si evidenziano obiettive criticità, che possono essere come di seguito riassunte.
I risultati dello studio sulla falda sotterranea, effettuato dal Servizio Idrologico-Idrogeologico della Provincia di Savona, evidenziano il suo innalzamento fino a sfiorare la quota del piano di campagna, contraddicendo l’impegno ufficiale, preso dalla proprietà del sito Eni-Syndial, di non superare il livello di -1,2 metri dallo stesso.
Le analisi del monitoraggio, eseguite da parte di Eni-Syndial, sul percolato che si forma in continuazione, proprio per la presenza dell’acqua di falda a contatto con il terreno contaminato sottostante l’area A2. Percolato costantemente inquinato dalle sostanze organiche di sintesi, anche tossico-nocive, caratteristiche delle produzioni ex-Acna, che sono, in questo momento, ancora presenti nel sottosuolo.
La produzione del percolato dell’intero sito ex-Acna, secondo l’Accordo di Programma siglato nell’anno 2000 e sottoscritto dai Ministeri competenti, dalle Regioni Piemonte e Liguria, nonché dalla società responsabile Eni, avrebbe dovuto arrestarsi e tendere a zero. Dopo più di vent’anni di storia di quell’accordo, siamo tuttora molto lontani da questo obiettivo.
Le barriere a tenuta idraulica garantiscono solo la “riduzione” della penetrazione delle acque di falda nel sito ex-Acna in periodi di precipitazioni, come dichiarato anche da Eni-Syndial, in particolare in merito ai lati in direzione della ferrovia e dell’ex-portineria. Infatti, la falda fluviale si snoda sempre, all’interno dell’area ex-Acna, seguendo il suo andamento originario del paleo-alveo.
Il rischio idraulico del sito ex-Acna è criticità costante, come evidenziato dagli eventi alluvionali degli ultimi anni che hanno coinvolto, con gravi danni, le opere di contenimento rivolte in direzione del fiume. La Regione Liguria, pertanto, ha ipotizzato un drastico intervento sulla briglia di derivazione dell’acqua del fiume, posta all’entrata dell’ex-stabilimento. Criticità ribadita dal PAI (Piano Assetto
Idrogeologico), proprio per la località Genepro di Cengio, dove è situata la citata briglia.
Inoltre, allo stato attuale è tutta da risolvere la situazione nell’area Merlo. È un’area esterna alle barriere di contenimento del sito ex-Acna. Le analisi sui campioni, effettuati nei pozzetti di ispezione su questi terreni, hanno già da tempo evidenziato la presenza di contaminazione elevata delle sostanze classiche presenti nel percolato Acna. I 400 milioni di euro investiti sino ad ora nella bonifica, evidentemente, non hanno risolto i problemi presenti, dentro e fuori il sito ex-Acna.
È per queste emergenze che progettare di cambiare pagina e andare oltre è impossibile. Non è accettabile e non possiamo lasciare in eredità una situazione eccezionale come quella descritta, che è destinata prima o poi a riemergere. L’Eni, responsabile di questa situazione, deve rimanere tale ed impegnarsi a realizzare
progetti innovativi di messa in sicurezza del sito in modo permanente. È un obiettivo ragionevole e le tecnologie attuali consentono di perseguirlo.
Bisogna ripensare il modello di sviluppo
Facciamo un ragionamento logico: recuperare le aree a fini produttivi, con la costruzione di nuovi fabbricati, con la realizzazione di notevoli e significative strutture edilizie, importanti opere di fondazione e scavo, interferirebbe pericolosamente con il sottosuolo, che a tutti gli effetti è inutilizzabile. Fare scelte irresponsabili di questo genere inoltre renderebbe, di gran lunga, più problematica la gestione delle opere necessarie di emungimento, in continuo, del percolato dell’area A2.
Finiamo il ragionamento: se la proprietà dell’area A2 non sarà più dell’Eni-Syndial o, quantomeno, dovesse venire meno la responsabilità diretta per la manutenzione delle numerose opere necessarie e del monitoraggio qualitativo e quantitativo del sistema di raccolta del percolato, chi si assumerebbe la faticosa
gestione di tutto questo? Facile immaginare che non è possibile, né giusto, coinvolgere con impegni di tale gravità le nuove aziende che, eventualmente, fossero interessate ad investire in quelle aree, insediandovi le loro attività.
Conclusioni
Fare della nostra storia un punto di forza e una risorsa significa mettere a frutto le fatiche di decenni di studi, raccolte di dati, lavoro di gruppo, competenze integrate: i decenni che hanno caratterizzato la nostra esistenza, come abitanti e cittadini interessati alle vicende drammatiche dell’Acna di Cengio. Si sono sviluppate importanti conoscenze, sono maturate consapevolezze. D’altra parte, ciò che è successo lì è stato spesso definito come un fondamentale caso di scuola, da cui trarre informazioni e nozioni utili, da esportare anche in altri territori, a livello internazionale.
Un Centro di Ricerche e Studi per le Bonifiche Ambientali, da realizzare nella palazzina che un tempo ospitava la dirigenza dell’Acna, è la degna evoluzione di quell’esperienza. Il Ministero dell’Ambiente deve farsene carico in qualità di promotore, dove l’apporto delle 2 Regioni, Liguria e Piemonte, e delle 4 Province, Savona, Cuneo, Asti e Alessandria, darebbe la giusta rilevanza ad una faccenda che ha riguardato tutti e che molti hanno subito. Di cui siamo stati testimoni, di cui siamo chiamati a fare tesoro.
Era previsto nell’Accordo di Programma che poneva le basi per la bonifica, d’altra parte: nel dicembre 2000, sottoscritto da tre Ministeri, due Regioni, il presidente dell’Enichem, il liquidatore dell’Acna, il commissario di governo incaricato della bonifica stessa.
Forse merita richiamarne il passaggio, all’articolo 6 punto 3: “Il Ministero dell’Ambiente, la Regione Liguria e la Regione Piemonte si impegnano a definire, in tempi brevi, un protocollo d’intesa per la creazione di un centro di ricerca, sperimentazione e sviluppo di tecnologie di messa in sicurezza e di bonifica”.
Fra l’altro, è un organismo fondamentale anche per la presenza, in loco, di personale qualificato, non più solamente di Eni-Syndial, in grado di tenere sotto controllo il sito e di elaborare soluzioni di messa in sicurezza definitiva. Facendo scuola, nella migliore delle ipotesi, per altri siti da bonificare in giro per il mondo. Che non mancano, purtroppo. Un istituto dove fare intervenire diversi enti pubblici, privati e università, in modo da riunire le migliori risorse e competenze, al fine di diventare un importante riferimento per le attività di studio, elaborazione e soluzione dei metodi di bonifica di realtà complesse come quella ex-Acna.
In superficie un impianto fotovoltaico per l’energia pulita
Già di recente, Piergiorgio Giacchino, già sindaco di Camerana (CN), fondatore dell’ALA (Associazione Lavoratori Acna), ha espresso l’idea di impiegare le aree del vecchio stabilimento chimico nell’unico modo possibile: nelle esclusive pertinenze in superficie, proprio per evitare di interferire con il contesto ambientale talmente precario che è stato descritto sopra. Grazie alle modalità di installazione degli impianti fotovoltaici, infatti, creare un grande complesso di pannelli potrebbe essere una soluzione tecnica adeguata e compatibile con questo luogo. È uno spazio dove il consumo di suolo è già, irrimediabilmente, compromesso. Dunque non potrebbe essere, di certo, rinaturalizzato. Di contro, il genere di attività sostenibile come la produzione di energia da fonti rinnovabili renderebbe merito ad una storia tragica e dolorosa, che è quella che ripercorre ben più di 100 anni di inquinamento chimico e sociale, di Cengio e dell’intera Valle Bormida. Una storia che deve insegnarci qualcosa: memoria e monito, legame indissolubile delle generazioni passate, presenti e future. Appoggiamo con convinzione la proposta di Giacchino e chiediamo agli amministratori locali di farsi promotori di un giusto ed equilibrato modello di sviluppo: è già pronto anche il nome dell’impianto fotovoltaico della rinascita: ACNA, Abbiamo Creduto Nell’Ambiente.