Nelle scorse settimane ed in vista delle vicine elezioni, in televisione e sui giornali, si è sentito parlare molto di questa tassa ad aliquota fissa, punto cardine della campagna elettorale dei partiti di “destra” e oggetto di grandi polemiche da parte della “sinistra”.
La Flat Tax venne ideata per la prima volta dall’economista statunitense Milton Friedman nel 1976 ed è un sistema di “tassa piatta” che si contrappone agli attuali scaglioni IRPEF, progressivi in base al reddito.
In questo modo, a prescindere dal reddito prodotto, si pagherebbe un’aliquota che, se andasse il centrodestra al governo, potrebbe essere del 15% (come proposto da Salvini) oppure del 23% (Berlusconi).
Secondo i detrattori, questa tassa sarebbe incostituzionale: l’articolo 53 della Costituzione stabilisce la progressività del sistema tributario e quindi un’aliquota unica, violerebbe questo articolo.
Come sempre, le norme possono dare libero sfogo alle interpretazioni ed alcuni ipotizzano la non violazione dell’articolo in questione, introducendo una sorta di “zero tax” per i redditi più bassi (fino a 15 mila €).
La Flat Tax però non è una novità in Italia: già nel 2004 è stata introdotta l’Ires (imposta sul reddito delle società), che prevede una sola aliquota pari al 24% degli utili e dal 2019 è stata anche attuata per i lavoratori autonomi.
Il regime forfettario prevede una tassazione fissa al 15% a patto che si fatturino al massimo 65000€ annui mentre per i primi 5 anni di attività, l’aliquota scende al 5%.
In Albania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Macedonia, Slovacchia ed Ucraina questa tassazione fissa è già attiva da anni ed ha portato innumerevoli benefici come crescita economica ed investimenti dall’estero.
Troviamo pero anche un caso di fallimento di questa politica: l’Islanda infatti aveva aderito alla “tassa piatta” ma dopo alcuni anni ha deciso di abbandonarla.
Vantaggi e svantaggi
-Una tassazione più bassa e rapportata effettivamente ai servizi ottenuti, potrebbe indurre gli evasori, a pagare le tasse; escludendo coloro che volutamente non pagano le tasse, vediamo situazioni dove gli imprenditori si trovano di fronte ad una scelta: “Pago le tasse oppure dò da mangiare” alla famiglia?” Questo discorso è sicuramente valido per i piccoli imprenditori.
Una tassazione più bassa potrebbe sicuramente incentivare l’imprenditoria in Italia, oppressa da una delle tassazioni più alte al mondo.
-Tutti potrebbero fare la dichiarazione dei redditi in autonomia poiché i calcoli per vedere quando si deve versare o avere dallo Stato, sarebbero più semplici.
-Chi è dipendente avrebbe uno stipendio più alto: un IRPEF più bassa, farebbe incrementare il netto in busta paga.
-Per quanto riguarda gli svantaggi, riducendo le tasse, lo Stato avrebbe delle entrate minori e per bilanciare la situazione, dovrebbe ridurre e non di poco, la spesa pubblica.
– I milioni di contribuenti che ora usufruiscono dell’imposizione al 15% vedrebbero la loro aliquota schizzare al 23%, ciò fa apparire la proposta in favore dei più ricchi e a sfavore dei meno fortunati.
Andrea Coslovi