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ilva-noviTorna d’attualità la spinosa questione riguardante l’Ilva di Novi Ligure al termine di un 2014 particolarmente difficile soprattutto negli ultimi mesi. La protesta principale c’è stata la mattina del 15 dicembre, quando sette imprese di autotrasporto hanno bloccato – tramite i suoi dipendenti – l’impianto novese, centro cardine del trasporto di prodotti siderurgici (soprattutto coils) su treni speciali per essere distribuiti nell’area su strada. L’intervento del sindaco Rocchino Muliere ha garantito la ripresa regolare delle attività, con la promessa di prendere contatto al più presto con i vertici della società nazionale per i pagamenti.
Il blocco ha riacceso i riflettori sul plesso industriale di Novi Ligure dopo un periodo di tregua forzata tra le parti. A livello nazionale si è tornato a parlare di Ilva a fine novembre, quando la cordata ArcelorMittal-Marcegaglia (composta al 50% di capitali italiani e al 50% di capitali stranieri) ha presentato al commissario Piero Gnudi un’offerta per l’acquisto degli stabilimenti di Genova, Taranto e Novi Ligure. Il numero degli zeri presenti sul maxi assegno per rilevare le tre strutture non è stato comunicato e non è trapelato neppure da fonti statali, particolarmente interessate a riportare la più grande acciaieria dell’Italia e dell’Europa sotto la sua ala protettrice. L’ipotesi di una cessione ai privati si è dissolta in fretta con l’annuncio del governo Renzi di voler nominare un amministratore straordinario nei prossimi mesi a cui assegnare pieni poteri sull’azienda.
Una soluzione interna che garantirebbe un risanamento dei conti – in deficit e con un bilancio in rosso ormai da anni – e un possibile rilancio dal punto di vista economico, industriale e perfino ambientale. Quest’ultimi punto è forse quello più importante, soprattutto a livello nazionale, visto che il commissario Gnudi è stato nominato proprio per il debito di 1,8 miliardi di euro accumulato nel corso degli anni. A livello novese dovrebbe comunque esserci un rischio decisamente inferiore rispetto alla “Big City” siderurgica di Taranto. Dai palazzi del governo di Roma arriva infatti la conferma che l’industria di Novi Ligure non ha certo gli stessi problemi dell’impianto pugliese, anche se di fatto il loro futuro è collegato tra loro. “Genova e Novi Ligure hanno oggettivamente una situazione migliore rispetto a quella di Taranto, ma è chiaro che si sta parlando di un unico gruppo e quindi se l’altoforno va in crisi il rischio si espande a tutte le realtà”. Così il parlamentare del PD Lorenzo Basso in un’intervista a Repubblica

Luca Piana

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