Tra richiami all’orgoglio di paese e riflessioni sul futuro degli enti locali, impazza il dibattito sulla fusione dei comuni di piccola dimensione, in Italia come nella nostra provincia.
A dare il via al tutto è stata la proposta di legge presentata in Parlamento dall’onorevole del Partito Democratico, Emanuele Lodolini. Ponendosi gli obiettivi di “trovare un efficace meccanismo per ridurre l’elevata frammentarietà dei comuni italiani” e “consentire un netto miglioramento della qualità e dell’efficacia dei servizi offerti ai cittadini”, la proposta interviene sui comuni sotto i 5000 abitanti. Numerosi in Italia, poiché, secondo dati Istat, 5652 su 8057 rientrano in questa categoria. In Regione sono 1064 su 1202, in provincia di Alessandria 180. Negli anni sono state suggerite varie forme associative tra le piccole amministrazioni, come convenzioni, unioni e fusioni. Queste ultime sono state poco adottate, nonostante siano stati licenziati incentivi e contributi speciali.
Il DDL Lodolini vede proprio nelle fusioni la modalità giusta per ridurre la dispersione amministrativa tra enti di dimensioni ridotta, allo scopo di crearne di più grande entità, aspetto ritenuto importante anche in funzione del superamento delle Province e del rafforzamento delle Regioni. Le Regioni stesse sono chiamate a far rispettare la nuova normativa, con limiti e punizioni piuttosto chiare. Passati 24 mesi dall’entrata in vigore della nuova legge, esse saranno costrette a mettere pressione sui comuni sotto i 5000 abitanti per adeguarsi. Qualora non l’avessero fatto entro 4 anni, saranno decurtati del 50% i trasferimenti erariali, esclusi quelli per il servizio sanitario e il trasporto pubblico locale.
Come prevedibile, la proposta dell’on. Lodolini ha incontrato il dissenso dell’ANPCI (Associazione Nazionale Piccoli Comuni Italiani) e dell’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), ai quali s’è aggiunto il senatore alessandrino del PD, Federico Fornaro. Il filo conduttore che lega la questione fusione alla nostra provincia non si limita agli strascichi della politica nazionale, anzi. Quasi in contemporanea di questa vicenda s’è sviluppata quella di Camagna Monferrato, paese di 511 anime, che ha attirato anche i riflettori della cronaca nazionale. Il sindaco Claudio Scagliotti e il consigliere comunale Luca Beccaria hanno presentato a Titti Palazzetti, primo cittadino di Casale Monferrato, una “manifestazione d’interesse” per una “fusione con incorporazione”, figura introdotta dalla legge Delrio nel 2014. Nulla di definitivo, quanto è bastato per scatenare una selva di proteste, provenienti dall’opposizione e da comitati spontanei di cittadini. I supporter della fusione vedono in essa il primo passo verso la creazione di un soggetto politicamente forte, una sorta di “capitale del Monferrato”, dotata della autorevolezza necessaria per confrontarsi con enti di maggiore entità. I contrari, invece, vedono il bicchiere mezzo pieno per Casale, che si fregerebbe del bollino Unesco dato agli “infernot” del piccolo centro, e mezzo vuoto per Camagna, che passerebbe dall’essere una realtà virtuosa (in attivo di bilancio) a periferia dell’impero, con conseguente peggioramento dei servizi erogati. Il referendum consultivo, previsto per settembre, darà una risposta sull’opinione dei cittadini.
Stefano Summa
@Stefano_Summa