Il prossimo 13 luglio sarà presentato al Borsalino alle ore 18.15 il libro Meno dodici, storia di un medico che al risveglio dal coma ha perso la memoria degli ultimi 12 anni, scritto da Pierdante Piccioni e Pierangelo Sapegno (Aula Stelline)
Da vittima di un banale incidente, Piccioni diventa medico – e paziente insieme – protagonista di una straordinaria vicenda umana, di chi sulla propria pelle ha esplorato l’abisso della memoria e ne è risalito, per ricominciare a vivere.
L’ultimo giorno di maggio del 2013, Pierdante Piccioni, primario all’ospedale di Lodi, finisce fuori strada con la macchina sulla tangenziale di Pavia. Lo ricoverano in coma, ma quando si risveglia, poche ore dopo, il suo ultimo ricordo è il momento in cui sta uscendo dalla scuola dove ha appena accompagnato il figlio Tommaso, nel giorno dell’ottavo compleanno. Precisamente il 25 ottobre 2001, dodici anni prima della realtà che sta vivendo. A causa di una lesione alla corteccia cerebrale, dodici anni della sua vita sono stati inghiottiti in un buco nero, riportandolo indietro nel tempo, quando in Italia c’era la lira e la crisi economica pareva lontana, persino impensabile, mentre la rivoluzione digitale che sta cambiando il mondo era appena agli albori e nessuno parlava di post su Facebook o video su YouTube. All’improvviso Pierdante Piccioni è diventato un alieno, incapace di riconoscere le sue cose, le sue abitudini, addirittura se stesso in quel volto invecchiato che gli restituisce lo specchio e in cui a stento ritrova la propria immagine. Attorno a lui tutto è cambiato: i figli non sono più due bambini di otto e undici anni, ma due maschi adulti, con la barba e gli esami all’università, mentre la moglie sembra un’altra donna, con le rughe e i capelli corti che hanno cambiato colore. Come potrà riprendersi la propria vita? Nelle pagine del suo diario, in questo viaggio incredibile fra due esistenze parallele che non riuscirà mai a riallacciare completamente, Piccioni racconta non solo l’angoscia di un uomo costretto a guardare la realtà con gli occhi di un estraneo, come fosse un marziano, ma la lunga e faticosa riconquista della propria identità, delle relazioni con i familiari e con i colleghi, di tutto il tempo perduto che non riavrà più indietro.