Se tra le otto del mattino e le nove vi trovate a passare in corso Acqui, fermatevi ed entrate al numero 58, di fianco a una chiesa, la chiesa di San Giovanni Evangelista.
Un nugolo di gente sosta e parla nel vialetto e un profumo di casa, fatto di ciambelle, torte e caffè vi indicherà la strada anche senza conoscerla.
Un grande stanzone, con tanti tavoli imbanditi, un televisore acceso sulle notizie del telegiornale, un canarino molto canterino in una gabbia fa da sottofondo, un uomo di origine marocchina, intento a riempire piatti, un altro signore, italiano, a spazzare le briciole, una bionda signora non più giovane che fa avanti indietro dalla cucina e un uomo curvo con un pullover blu che taglia torte, fa le porzioni e osserva. È Don Claudio Moschini, parroco di questa chiesa da ormai 20 anni.
71 anni, di origini venete, del Polesine, 4 anni in Kenya,da due anni dà da mangiare tutte le mattine a circa settanta persone.
“E nato tutto per caso -ci dice- all’inizio venivano in chiesa e trai banchi offrivo un caffè, un toast,un pezzo di dolce,poi le persone sono aumentate e diventava impossibile continuare cosi e allora ci siamo strutturati”.<\i>
Tutte le mattine, una settantina tra uomini, donne e anche famiglie vengono e trovano la colazione: torte, pizze, crostate che fa personalmente Don Claudio, ciambelloni; alcuni se ne fanno scorta anche per il pranzo, garantito comunque dalla diocesi attraverso la Caritas, mentre per la cena ci sono i frati; consumano senza fretta, poi si avvicinano a Don Claudio e chiedono una sigaretta, così il Don si trasforma in tabaccaio e a nessuno nega una “bionda”.
“ All’inizio davo loro – racconta Don Claudio – anche un euro ciascuno, poi mi sono accorto che i soldi finivano nelle macchinette delle sale-gioco, quindi diamo da mangiare e se hanno bisogno di medicine provvediamo”<\i>
La tipologia delle persone che frequenta la mensa di Don Claudio è composta dal 40% da italiani e il resto da stranieri, sono davvero gli ultimi fra gli ultimi del tessuto sociale, senza dimora alcuni, con problemi mentali altri, disadattati che senza la diocesi sarebbero invisibili per i più, comprese le istituzioni e le cooperative ad hoc.
Alle nove, nove e un quarto si chiude, Don Claudio ci fa attraversare il cortile e incontriamo Tommy, un simpatico cane meticcio che un ragazzo emigrante per la Germania gli ha chiesto di accudire, dalla sacrestia arriviamo in chiesa e Don Claudio ci mostra con orgoglio il grande, maestoso organo tra i più grandi che ci siano, si toglie le scarpe, si siede e incomincia a suonare con passione e levità… e la musica diventa preghiera, preghiera di tutti gli emarginati e ringraziamento per questo sacerdote.