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Arturo Merlino (Carlo Verdone) e Yuri Pelagatti (Antonio Albanese) sono, già a partire dagli improbabili cognomi, due personaggi da vaudeville. Il primo, un investigatore privato di scarse fortune e ingaggi, che per sopravvivere dà la caccia a gatti fuggitivi e riottosi; il secondo, un attore talmente sconvolto per colpa di una crisi coniugale da dimenticarsi le battute in scena, candidandosi alla perenne disoccupazione.

La trama – dagli accenti kafkiani – de L’abbiamo fatta grossa, sceneggiata dallo stesso Verdone, conduce i due dall’incontro-scontro iniziale al sodalizio per motivi squisitamente economici, all’amicizia sui generis con fasi altalenanti ed esito finale dai toni agrodolci.

L’infinita odissea di Arturo e Yuri in un’Italia dai molti luoghi comuni, banale e becera, caotica e superficiale, dove basta un improvviso scambio di posti a sedere al ristorante per scatenare una demenziale commedia degli equivoci infarcita di inseguimenti e travestimenti, rimane l’unico spunto autenticamente creativo del film.

Per il resto abbiamo a che fare con un Verdone parzialmente in crisi, come il suo Arturo – anche scrittore di fantasiosi thriller dai mille colpi di scena – lontano anni luce dalle vette di dolente umorismo raggiunte con pellicole come Viaggi di nozze o Sono pazzo di Iris Blond, per non parlare della strampalata galleria di macchiette degli esordi, che hanno permesso di equiparare la sua vis satirica a quella di un Alberto Sordi.

La storia è esile e sfilacciata, le situazioni comiche banali, stereotipata la rappresentazione di anziani, extracomunitari e di determinate tipologie sociali.

Si salvano e – anzi – rifulgono nel basso livello generale della pellicola le interpretazioni dei due attori protagonisti, maschere bonariamente assurde, tristi, e di Lena-Anna Kasyan, cantante lirica armena con una straordinaria esuberanza scenica.

Apprezzabile, infine, il tentativo di chiedere il conto attraverso la messinscena a un sempiterno paese di furbi e imbroglioni, dove la corruzione e l’ambiguità del potere calano inesorabile la loro scure sulle spalle dei due poveri cristi di turno: e il momento più alto del film è proprio quello conclusivo, con Yuri che ritrova la sua potenza d’attore con i versi del Macbeth, e l’irrisione sua e di Arturo nei confronti del rappresentante di un’istituzione ormai priva di credibilità.

I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari”, si legge sull’ultimo fermo immagine.

E’ autentica invece la realtà che li produce”.

Barbara Rossi

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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