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Le cronache riportano sempre più spesso delitti commessi in ambito familiare, contro mogli, compagne, figli o ex: dalle minacce, allo stalking, ai maltrattamenti in famiglia, alle deturpazioni del volto con l’acido sino all’omicidio.

Per cercare di rispondere ai mal di pancia dell’opinione pubblica, il Parlamento ha varato l’ennesimo provvedimento che, nelle intenzioni, dovrebbe rispondere all’allarmante fenomeno: il codice rosso (legge 69/19).

La legge prevede, tra gli altri, due nuovi reati.

Il primo è il revenge porn che punisce chi, dopo averli realizzati, divulga – senza il consenso delle persone ritratte – video a contenuto sessualmente esplicito destinati ad essere privati.

Il secondo è la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso che punisce chi cagioni alla vittima una lesione da cui derivi lo sfregio o la rovina permanente del volto.

Inoltre, si prevede che la sospensione condizionale della pena per i reati contro vittime deboli e contro la persona (non si capisce perché ma il nuovo reato di deformazione del volto non è tra questi!) possa essere concessa solo se l’imputato si sottopone a percorsi di recupero e di sostegno psicologico.

Ma le vere novità sono di carattere investigativo e processuale.

La legge prevede un elenco di reati “a codice rosso” comprendenti tutti quelli caratterizzati da violenza contro la persona (oltre ai due nuovi reati, vi rientrano i maltrattamenti in famiglia, lo stalking, la violenza sessuale, le lesioni personali ecc.).

I reati a codice rosso devono essere immediatamente segnalati, anche oralmente, alla Procura della Repubblica e la Polizia deve compiere gli atti di indagine delegati “senza ritardo”.

Inoltre, le dichiarazioni della persona offesa devono essere di regola assunte entro tre giorni dalla comunicazione della notizia di reato, salvo che ciò non sia pregiudizievole per la stessa vittima o per le indagini.

Inoltre, la legge ha reso più facile l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere anche per il revenge porn, (ancora una volta, non per la deformazione del volto!).

Sempre sul piano delle misure cautelari, viene ancora considerata come misura principale di contrasto a questo genere di reati, l’allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, in relazione alle quali è ora possibile applicare il braccialetto elettronico.

 

Una prima osservazione è d’obbligo: il voler rafforzare una misura quale il divieto di avvicinamento con il braccialetto elettronico è pura fantasia poiché i braccialetti elettronici a disposizione dell’Autorità sono oggi talmente pochi da non essere nemmeno sufficienti a monitorare i soggetti agli arresti domiciliari e quei pochi che ci sono difficilmente verranno impiegati in misure di questo tipo.

Inoltre, si registra una sorta di ossessione del legislatore per le misure dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima: trattasi di misure la cui efficacia dipende in buona parte dalla volontà dell’indagato, non certo adeguate in caso di reale pericolosità dell’autore del reato.

Vero è che se la misura viene trasgredita, è possibile applicarne una più restrittiva (compresa la custodia cautelare in carcere) ma troppo spesso la trasgressione della misura avviene con una condotta fatale per la vittima.

Per garantire indagini scrupolose e ben condotte, la legge prevede percorsi formativi per specializzare le forze di polizia giudiziaria mentre rimanda alle decisioni della Scuola Superiore di Magistratura la formazione per i magistrati.

E qui si comprende come dietro le parole ci sia poca sostanza.

Il Parlamento ha perso l’occasione di creare finalmente delle sezioni presso le Procure della Repubblica specializzate in questo tipo di reati, composte da magistrati con una formazione trasversale e multidisciplinare che non può essere limitata al diritto penale ma deve per forza di cosa estendersi al diritto di famiglia e alla psicologia.

Non dimentichiamo che, soprattutto quando si tratta di vittima minorenne, le dichiarazioni della persona offesa sono assunte in forma protetta, con l’ausilio di psicologi o esperti, per garantirne la genuinità.

Non dimentichiamo poi che, per il tipo di reati di cui si parla, le dichiarazioni della vittima dovrebbero essere la prova regina di tutto l’impianto accusatorio per cui è di vitale importanza riuscire a capire se quanto riferito è credibile, se è veritiero, se il racconto è tutto o solo parte della storia, se vi sono ulteriori fatti e così discorrendo.

Più che un problema di regole procedurali, spesso ripetitive, mal scritte e che si sovrappongono a quelle ordinarie già esistenti, sarebbe necessario cambiare l’approccio a questo tipo di reati, cambiare il modo con cui gli inquirenti interfacciano le vittime e gli strumenti con cui vengono definiti credibili o meno le dichiarazioni.

Un diverso e più consapevole approccio passa attraverso una formazione specifica trasversale e multidisciplinare che renderebbe davvero efficace la lotta ai reati contro le vittime deboli.

Avv. Paolo Pollini

[email protected]

Cell. 349.8291858

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"