Questo primo fine settimana di luglio ci riserva, in controtendenza rispetto all’andamento generale delle uscite cinematografiche del periodo, tre interessanti pellicole. Partiamo da quella più “avventurosa”, legata alle tematiche conradiane del viaggio sino agli estremi confini del mondo, inteso sia in senso propriamente geografico che simbolico, interiore. Civiltà perduta di James Gray narra l’affascinante e perigliosa avventura del colonnello inglese Percy Fawcett (Charlie Hunnam), che nei primi anni Venti del 900′ accetta di affrontare una difficile spedizione in Amazzonia, tra Brasile e Bolivia, al fine di elaborare per conto della Royal Society una mappa – ancora inesistente – di quei territori. Lasciate in Inghilterra la moglie Nina (Sienna Miller) e la propria famiglia inizialmente solo per conquistare un avanzamento di grado e per un periodo massimo della durata di due anni, con il trascorrere del tempo Fawcett viene sedotto a tal punto dalla foresta amazzonica da decidere di farvi ritorno alla ricerca della leggendaria città di Z, in Mato Grosso, di cui è convinto di aver scoperto delle inequivocabili tracce. Tratto dall’omonimo romanzo di David Grann, Civiltà perduta è il racconto dell’incontro e del contrasto tra mondi opposti, in cui a fungere da mediatore è un personaggio a tutto tondo, una figura di militare ed esploratore vittoriano, ligio a doveri e regole eppure in grado di conciliarle con la sua sete d’infinito. La resa d’ambiente è spettacolare. Ricordiamo la presenza nel film dell’attore Robert Pattinson (distante anni luce dal personaggio che gli procurò fama e successo in Twilight) nel ruolo del caporale Henry Costin.
Con Lady Macbeth William Oldroyd – alla sua opera prima passata anche al TFF – traspone, con molti cambiamenti e una liberissima interpretazione, specie nel finale, il racconto dello scrittore russo Nikolaj Leskov Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, ambientandolo nel nord dell’Inghilterra. Nulla a che vedere, bisogna dirlo subito, con la tragedia shakespeariana, piuttosto un melodramma all’ennesima potenza, visionario, spietato, geometrico nella sua rigorosa concatenazione di cause ed effetti. La giovanissima ed ingenua Katherine (Florence Pugh, attrice britannica dalla straordinaria resa scenica) vive reclusa in uno splendido ma gelido (fisicamente ed emotivamente) maniero sperduto in mezzo alla campagna inglese, soffocata dalle regole di un matrimonio di convenienza con un uomo anaffettivo. La disperata solitudine la spinge a cercare compagnia e appagamento, prima di tutto dei sensi, nella torrida passione che divampa con uno stalliere egoista e privo di scrupoli, ma unica sua fonte di vita interiore e corporea nel deserto emotivo in cui si trova. Decisa a non rinunciare per nulla al mondo a questa passione, Katherine si trasformerà progressivamente da agnello sacrificale a carnefice: e la sua vendetta non avrà confini. Il film restituisce con maestria narrativa l’arco evolutivo di questa affascinante, torbida e seduttiva figura femminile, che un acutissimo dolore è in grado di portare alla più totale e irrevocabile abiezione. A fare da sfondo e cornice a questa novella lady Macbeth (ma anche un po’ lady Chatterley del romanzo di David Herbert Lawrence) sono le atmosfere eleganti e rarefatte ma algide del castello in cui è prigioniera Katherine, oltre agli elementi naturali di cui ella a un certo punto sembra nutrirsi, come una sorta di vorace baccante: l’aria, il mare, il cielo che la circondano o la sovrastano, ingredienti primari, splendidi e terribili di un dramma oscuro come il cuore umano.
Un’irresistibile Shirley MacLaine pluriottantenne ma sempre indomita e meravigliosa interprete è la protagonista di Adorabile nemica di Mark Pellington (The Mothman Prophecies, Arlington Road – L’inganno), su sceneggiatura dell’esordiente Stuart Ross Fink. Harriet Lauler ha vissuto una vita piena, indaffarata e prestigiosa, come manager rampante di uno studio pubblicitario. Oramai anziana, lontana dall’attività lavorativa e messa da parte a causa del suo dispotismo dalle figure di riferimento della sua vita, come l’ex marito e la figlia Elizabeth (Anne Heche), Harriet decide a un certo punto di saggiare la reazione delle persone che conosce rispetto alla diffusione del suo necrologio, che fa redigere accuratamente da Anne Sherman (Amanda Seyfried), la giovane addetta a questo compito del giornale locale. Le due si scontreranno ripetutamente, sino ad imparare ad amarsi, scoprendo qualcosa di nuovo su loro stesse l’una negli occhi dell’altra. Il film si basa non solo su una buona sceneggiatura di base, ariosa e intelligente, ma anche sul duetto attoriale tra la McLaine e la Seyfried, con inevitabile e lampante predominio scenico della prima sulla seconda. Da Voglia di tenerezza a Fiori d’acciaio e Cartoline dall’inferno Shirley McLaine continua a costruire la sua immagine divistica su di un personaggio molto amato dal pubblico, aggressivo, autoritario e prepotente, ma anche saggio e profondamente umano. La sua presenza, da sola, vale il prezzo del biglietto.
Barbara Rossi