Questo weekend di quasi metà giugno ci porta al cinema con due storie intimiste ma di un certo impatto emotivo, anche se molto diverse fra loro per stile e contesto. Quello che so di lei di Martin Provost (Violette, 2015) racconta la storia di Claire (Catherine Frot), un’ostetrica di lungo corso innamorata del proprio, particolare mestiere, e in crisi per l’imminente chiusura del reparto maternità in cui presta servizio. Proprio in questo difficile momento di transizione dalle nebbie del passato ricompare Béatrice (Catherine Deneuve), la donna per cui il padre di Claire aveva abbandonato la famiglia. Béatrice è malata e bisognosa d’aiuto: Claire imparerà, lentamente, a conoscerla, facendo i conti con se stessa e con il passato. Provost costruisce un racconto stilisticamente elegante, delicato e intimista, attraverso il quale rende omaggio all’ostetrica che lo fece nascere, salvandogli la vita. Le due bravissime interpreti Frot e Deneuve danno voce e corpo ad altrettanti personaggi femminili incisivi e caratterizzati, come due differenti facce della medesima medaglia. Dapprima sconosciute l’una all’altra, in lotta per la conservazione della memoria del medesimo uomo, amato in forme e da prospettive diverse, poi amiche, sorelle, sino quasi a imbastire un rapporto madre-figlia, Claire e Béatrice impareranno la bellezza e la complessità dei rapporti umani, gli unici a contare davvero in un mondo vuoto di apparenze e superficialità.
Ritratto di famiglia con tempesta di Hirokazu Kore-eda (già autore di Father and son e Little sister) mette in scena la crisi di un uomo di successo nel lavoro come negli affetti, Shinoda Ryota (Abe Hiroshi), che all’improvviso si ritrova solo e smarrito: la moglie Kyoko (Yōko Maki) lo abbandona portandogli via il figlio Shingo (Yoshizawa Taiyo), il secondo, nuovo romanzo che – dopo il clamoroso successo del primo – dovrebbe scrivere non va in porto. Shinoda si ritrova ad accettare un lavoro poco gratificante in un’agenzia investigativa, per essere in grado di mantenere se stesso e la sua ex-famiglia. Al culmine della disperazione, in una notte di tempesta, in cui un ciclone si abbatte su Tokio, l’anziana madre di Shinoda (Kirin Kiki) invita figlio, nuora e nipote a casa sua. In quel rifugio domestico i tre proveranno a ri-parlarsi, per raggiungere un nuovo, accettabile equilibrio, in una mattina che si preannuncia più serena. Devoto e allievo, anche a distanza di anni e di generazione, del grande maestro del cinema orientale Yasujirō Ozu, Kore-eda si qualifica ancora una volta come un espertissimo e lirico cantore della Famiglia, dei suoi riti, drammi, allontanamenti e riappacificazioni, e dei suoi Personaggi principali, mogli, mariti, avi, figli adolescenti. Con grande attenzione per il dettaglio e la resa scenica, il regista pennella sullo schermo bianco un ritratto in un interno venato da emozioni, percezioni, sguardi, silenzi e parole. La macchina da presa si muove lenta e discreta negli spazi domestici e del cuore; soltanto il tempo, nel suo trascorrere inesorabile, scandisce e sottolinea i movimenti della vita e le azioni degli uomini. Un film da camera, raffinato, intenso, delicato.
Barbara Rossi