“Una brezza soave spira: sui campi verdi, ombre di nuvole”. Così Morikawa Kyoroku, antico poeta giapponese vissuto tra il 1656 e il 1715, coglieva attraverso la scarna sillabazione di un haiku l’essenza del risveglio di primavera. L’effimera e fugace bellezza della natura che risorge dopo il lungo sonno invernale viene esaltata, nella civiltà orientale, dalla festa dell’Hanami (letteralmente, “guardare i fiori”), che fa riferimento all’annuale appuntamento con la contemplazione della spettacolare fioritura degli alberi di ciliegio ornamentale, nel periodo di tempo che va da inizio aprile sino a metà maggio. Il fiore del ciliegio, così delicato, è simbolo per la cultura giapponese di fragilità, ma anche di rinascita. Nel mio piccolo giardino in città provo a onorare questa millenaria e poetica tradizione sostando sotto le fronde rosate del mio pruno, in ascolto del ronzio incessante degli insetti impollinatori.
Ricordo ciò che scriveva, a proposito dell’esperienza di un giardino in primavera, la scrittrice inglese Elizabeth von Arnim, nel suo romanzo “Il circolo delle ingrate”: «Si sporse dalla finestra respirando boccate avide, mentre il sole di marzo le batteva sul capo. Il giardino, uno spiazzo trascurato di erba incolta e grandi alberi, sfavillava di gocce di pioggia; …Una sensazione di gioia si impossessò del suo cuore, un piacere improvviso e travolgente per quelle cose semplici: terra, cielo, sole e vento».
Lo spettacolo della natura in primavera è il più cantato dai poeti di ogni tempo: “Pioggia primaverile – proprio ora le cose diventano splendide”, scriveva Chiyo Jo nel XVIII secolo.
Barbara Rossi