E’ tutta in legno la Locanda, alterna le pareti scure alle finestre piene di luce da cui entra sempre un po’ di vento. E’ fatta di poche stanze e una sola certezza: se sai arrivarci, facendo tutto quel sentiero buio che ci vuol poco a perdersi, quello è il posto più bello del mondo.
Alessandro Barbaglia, giovane poeta e libraio novarese, racconta nel suo romanzo d’esordio la magica e poetica storia dell’incontro tra Libero e Viola: due solitudini, due vite in attesa di un senso. Libero prenota un tavolo alla Locanda dell’Ultima Solitudine – arroccata sul mare – costruita con il legno avanzato di una barca, dove si può andare a cena, ma soltanto in due. Viola aspetta il momento e l’occasione di lasciare il paese dove è nata, in cui le donne della sua famiglia hanno tutte il nome di fiori che sanno “accordare” da generazioni, perché regalino sempre bellezza e armonia.
Racconta Barbaglia: «Libero ha nostalgia del futuro lontano, ama le attese come i bambini che aspettano il Natale e si gustano il tempo che passa, è convinto che le cose belle arrivino, è un ottimista estremo. Così inizia a costruire questa attesa e poi qualcosa succede». E conclude: «Si può avere nostalgia del futuro? Di qualcosa che verrà? Io credo di sì».
Alessandro Barbaglia, La Locanda dell’Ultima Solitudine, Mondadori, 2017, 163 pp., euro 17.00
Barbara Rossi