In questo primo weekend di febbraio approda nei nostri cinema il la grandiosa rappresentazione gibsoniana di un passaggio della battaglia di Okinawa, combattuta sull’omonima isola giapponese dall’esercito americano contro quello nipponico, tra l’aprile e il giugno 1945.
Il film, molto sanguigno e carnale – come è nello stile del regista – mette al centro la figura di Desmond T. Doss (Andrew Garfield), che come primo obiettore di coscienza della storia fu decorato con la medaglia d’onore del Congresso degli Stati Uniti per aver salvato come paramedico 75 soldati nel corso della battaglia di Okinawa.
Candidato a sei premi Oscar e presentato fuori concorso a Venezia lo scorso settembre, La battaglia di Hacksaw Ridge è un film dove la violenza viene esteriorizzata, mostrata sino al limite estremo della visibilità, sino a suscitare nello spettatore una nausea profonda, il rigetto per una guerra che è assurda e insensata, straziante lacerazione di corpi e anime.
Fautore di un cinema rigoroso, militante, di un pacifismo oltranzista che passa attraverso la rappresentazione, classicamente intesa, dell’ultraviolenza, Gibson dà vita a una messinscena grandiosa, con toni epici e morali, immersa in una tonalità scura e brunita, sul filo del tempo e della cupezza di un ricordo tragico.
In A United Kingdom-L’amore che ha cambiato la storia, Amma Asante, sceneggiatrice, ex attrice e regista inglese di origini ghanesi (La ragazza del dipinto, 2013) narra la contrastata storia d’amore tra Seretse Khama (David Oyelowo), l’erede al trono del Botswana, e l’impiegata inglese Ruth Williams (Rosamund Pike): i due si incontrano a Londra nel 1947 e la loro unione, sfociata nel matrimonio, dovrà superare la dura opposizione delle rispettive famiglie, oltre che dei governi sudafricano e inglese, ma la loro lotta contro i pregiudizi risulterà di esempio per le proprie nazioni di appartenenza e per il mondo, in un momento storico in cui l’apartheid sta affondando in profondità le sue tentacolari radici in terra sudafricana.
Il film è una buona restituzione di una storia vera, diretta con equilibrio narrativo: ineccepibile nella sua medietà anche stilistica, forse mancante di un po’ di mordente, ma le interpretazioni degli attori sono ottime e non è l’estro visionario ciò che ci si aspetta da un racconto come questo.
Al Cinema Macalle’ di Castelceriolo questa settimana è possibile recuperare la visione de Il medico di campagna, di Thomas Lilti, uscito nelle sale lo scorso dicembre. Lilti, già autore di Hippocrate, sempre sul tema della sanità, focalizza l’attenzione sui problemi deontologici e interiori di Jean-Pierre Werner (François Cluzet, il bravissimo protagonista di Quasi amici, 2011), medico curante di una piccola comunità della campagna francese. Affezionato alle piccole-grandi incombenze quotidiane legate al proprio mestiere, al rapporto empatico che è riuscito a stabilire con i pazienti, Jean-Pierre entra in crisi quando, dopo che gli è stato diagnosticato un cancro al cervello, è costretto ad appoggiarsi alla presenza della collega Nathalie Delezia (Marianne Denicourt). Dopo molte traversie ne scaturirà un rapporto di collaborazione e d’amicizia profondo e sincero.
Lilti, ex medico internista, trasporta ancora una volta in una narrazione cinematografica la propria esperienza di vita e professione, passando sotto la lente d’ingrandimento le quotidiane difficoltà dell’esercizio della medicina in una provincia francese un po’ abbandonata a se stessa.
A emergere dalla storia è soprattutto il recupero, favorito da Jean-Pierre, dell’aspetto umano del mestiere, che sa quando occorre mettere da parte la freddezza di un approccio al paziente esclusivamente scientifico.
Un’opera di gesti minimi, di attenzione alle piccole cose, delicata ma vitale, ben raccontata, intelligente. La consigliamo.
Barbara Rossi