Il 26 febbraio, ad Alessandria come in molte città d’Italia, Non Una di Meno lancia il countdown verso lo sciopero transfemminista dell’8 marzo: sciopero generale dalla produzione e dalla riproduzione, dal consumo, dai ruoli sociali imposti dai generi.
“70.02% donne 29.98% uomini hanno perso il lavoro nel 2020”
Durante il 2020 hanno perso il lavoro 444mila persone, di cui il 70% sono donne.
Solo nel mese di dicembre, su 101mila persone costrette al licenziamento o i cui contratti non sono stati rinnovati, 99mila sono donne.
Dati che vedono la loro origine in un sistema del lavoro femminilizzato che si contraddistingue per contratti precari e salari più bassi, e – poiché tali – più facilmente sacrificabili nell’economia familiare.
Per le donne, che nel contesto pandemico hanno vissuto un’ulteriore perdita di autonomia economica, il termine del blocco dei licenziamenti, previsto a fine marzo, fa prospettare una situazione destinata a peggiorare.
Che lo svolgano da dipendenti – spesso precarie e a fronte di bassi salari – o gratuitamente, sono in prevalenza le donne ad occuparsi della cura di anziani e bambini.
La centralità assunta, a causa della diffusione del Covi19, dal lavoro riproduttivo ha gettato luce sulle condizioni lavorative negli ambiti cosiddetti “essenziali” e sul carico di lavoro nella dimensione domestica.
Da un lato l’intensificazione di orari di lavoro e turni impossibili, dall’altro la totale presa in carico di giovani e bambini a causa della didattica a distanza.
Il Covid19 ha incrementato anche la strutturalità della violenza di genere.
“11 femminicidi solo nel 2021”
Eppure, mentre il Piano Antiviolenza sta per scadere[1], i finanziamenti ai centri antiviolenza femministi – spazi essenziali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza di genere – continuano ad essere inadeguati e la discussione governativa intorno al Recovery Plan invoca la parità di genere ma propone politiche neoliberali e Family Act. Una misura che vede, come soggetto destinatario dei fondi sociali, non le donne ma la famiglia – la stessa dove si consuma la maggior parte della violenza maschile e che impedisce la libera espressione delle soggettività dissidenti -. Fondi dai quali sono del tutto escluse le migranti, confermando e mantenendo salde le gerarchie razziste che permettono di sfruttarle ulteriormente.
Lo sfruttamento è elemento paradigmatico della violenza di genere.
Ad esso sono sottoposti i nostri corpi così come i territori.
“L’inquinamento dei territori è l’inquinamento dei corpi”
Siamo stufe di vedere prevalere il profitto sul diritto alla salute con drammatici lasciti in termini di malattie e morti. Le acque inquinate dai PFAs e dal cC6O4, le polveri cancerogene dai cantieri del Terzo Valico e quelle sottili che rendono tossica l’aria che respiriamo.
Un diritto alla salute minato anche dalle politiche sanitarie e dalle follie di alcuni amministratori locali. Da un lato la considerazione dei consultori quali servizi “non essenziali” da poter mettere in discussione in tempi di pandemia. Dall’altro l’ennesima battaglia ideologica – promossa dalla Regione Piemonte e supportata anche dal Comune di Alessandria – che millanta di volere la salute della donna, salvo poi finanziare abbondantemente i movimenti pro-vita che la colpevolizzano e non ne rispettano le scelte. Per questo gridiamo “Regione contro l’aborto, l’RU486 non si tocca”.
Va garantita alle donne la possibilità di scegliere. Le donne che scelgono di avere figl* devono poterl* crescere in un ambiente sano e accogliente.
Occorre abbassare le rette degli asili nido, rendere gratuiti i servizi per l’infanzia, smettere di vincere ogni anno il record di polveri sottili nell’aria, assicurare case popolari per chi ne ha bisogno, rendere il centro un luogo a misura di bambin* e non di auto.
Le limitazioni dovute al Convid19 non hanno impedito il protagonismo delle donne e delle libere soggettività e la moltiplicazione delle lotte – le lavoratrici delle pulizie dell’ospedale di Alessandria si sono, per la prima volta, unite e ribellate a iniquità e ingiustizie.
La voce di oltre 600 donne e soggettività LGBTIQ+ – precarie, migranti, operaie, maestre, madri, delegate sindacali e sex worker – è risuonata forte nel corso della tre giorni di assemblea nazionale online[2], affermando che lo sciopero non è più rimandabile.
Il sindacato di base ADL Cobas sostiene lo sciopero dell’8 marzo dando, insieme ad altre sigle, la copertura sindacale alle lavoratrici e ai lavoratori che vorranno aderire.
Le donne lottano da mesi nelle fabbriche, nelle scuole, nelle case. Lottano. Lottano in Italia, in Polonia, in Argentina, in Bulgaria, in Georgia, in Cile e nelle città degli Stati Uniti e della Francia dimostrando, ancora una volta, la necessità di una risposta transnazionale alla violenza strutturale.
Le politiche economiche europee di gestione della crisi hanno definito le donne “essenziali” per poterne intensificare lo sfruttamento.
Essenziali sono le nostre vite, essenziale è il nostro sciopero!
Alla prospettiva di un piano di ricostruzione patriarcale e confindustriale, vogliamo opporre un
piano femminista di trasformazione sociale: un salario minimo europeo e reddito di autodeterminazione, socializzazione della cura, welfare universale e non familistico, un permesso di soggiorno europeo non condizionato al lavoro e alla famiglia, diritto alla salute e all’autodeterminazione, priorità della salute ecosistemica rispetto ai profitti. Occorre che il cambiamento coinvolga i luoghi di istruzione, così che questi stessi luoghi siano in grado di garantire alle studentesse e agli studenti tutela, sicurezza e spazio di dibattito e discussione.
L’8 marzo scioperiamo!